Archivi tag: la vanità dellattesa

Megaloman

Siete capaci di gettarvi davanti a un proiettile vagante per me? Di concepire l'urgente necessità di un sì di fronte alla degradazione consapevole di un'incoercibile implorazione? Di non farmi solo domande di cui sapete già la risposta? Di capire me invece di recriminare perché io non ho capito voi? Di cogliere, naturalmente solo in situazioni circoscritte e occasionali, la possibilità di una felicità che sia alle strette dipendenze della mia? Di prendermi e piazzarmi al primo posto della vostra personale classifica invece che al secondo o al terzo, perfino con l'umiliazione di un eventuale pari merito, con conseguente effetto Toto Cutugno al festival del sentimento? Di non darvi pena, ma di alleviare le mie pene? Di sudare freddo? Di non giocare a palla avvelenata con i sensi di colpa? Di pendere dalle mie labbra? Di non cercare l'uscita di sicurezza sulla piantina del palazzo? Di essere il mio specchio? Di elaborare sofisticate strategie per convincermi di essere l'unico e il solo? Di non darvi pace? Di contorcervi nel letto come Juliette nell'Atalante? Di non confidare nel potere taumaturgico di un'incerta reiterabilità? Di perdere il controllo? Di non sperare che non ce ne sia bisogno?
Solo questo vi chiedo. Io per voi sì, ne sarei capace, e dunque ho tutte le carte in regola per consigliarvi di non cascarci.

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Il mio turno

"La barca dell'amore si è spezzata contro il quotidiano", ha scritto Majakovskij nella sua ultima lettera, disfatto da una passione non ricambiata, appena prima di spararsi un colpo di pistola al cuore. "Sarai mia finché lo vorrai", ha inciso più modestamente su un muro sgarrupato di Nocera Inferiore un giovane senza nome che confondeva l'amore con la nuda proprietà, diventato per questo immediato oggetto di scherno dei suoi concittadini, che le continue beffe dei cinici e dei poveri di spirito hanno costretto a fuggire e a ricostruirsi una vita e una dignità in un casolare nelle campagne tra Contursi Terme e Oliveto Citra.
Il sommo poeta e il ragazzino analfabeta: così lontani, così vicini, entrambi in grado di mettere da parte il loro orgoglio per compiere un gesto tanto estremo quanto inutile, nella speranza sempre disattesa di scuotere la persona amata.
"Lilja, amami", concludeva Majakovskij.
"Rosaria, amami", gli faceva eco il giovane senza nome.
Io sono come loro, ma questa volta, davvero, non posso fare altro che aspettare.

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Salute, amore, lavoro

Ricapitoliamo.
Il capo del personale, allungandomi di malavoglia il contratto di cinque mesi con cui da domani ricomincerò a lavorare dopo un mese di "pausa tecnica", mi ha invitato a non confidare nella speranza di un'assunzione a tempo indeterminato a partire dal primo luglio, "perché, lei lo sa, in questa fase l'azienda non se lo può permettere".
La ragazza di cui sono innamorato, dopo avermi indicato lucidamente le ragioni per cui lei no, tutte riconducibili a una e inoppugnabile, mi ha confidato che suo grande desiderio sarebbe che io mi liberassi da questo erroneo sentimento non ricambiato – erroneo, pare, prima ancora che non ricambiato – perché si possa ritornare finalmente "a essere quello che eravamo prima".
Il dentista, al termine di una truculenta estrazione del dente del giudizio, di cui sto ancora pagando le conseguenze in termini di salute fisica e, soprattutto, di appeal estetico, mi ha spiegato che, qualora in futuro il dente dell'arcata superiore sentisse la mancanza dell'ex gemello dell'arcata inferiore e tentasse surrettiziamente di prenderne il posto, "saremo costretti a tirare via anche quello".

A 20 anni mi hanno tolto le speranze, a 30 anni perfino le illusioni. Quand'è che mi toglierete anche il dolore e i desideri?

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Desire lines

Fuma, fuma tutte le sigarette che sei mesi fa hai acceso solo per colpa sua, incendiati i polmoni in questa piazza di provincia deserta già alle 7 di sera, ignora il capolavoro dell'architettura gotica che incombe intimidatorio sui tuoi desideri repressi e pronuncia il terzo "ti amo" e mezzo della tua vita solo quando sei sicuro che la risposta non sarà soltanto uno stizzito "e io no", ma quanto meno la perifrasi di un rifiuto, la francamente superflua, nonché evidentemente arbitraria, proposizione avversativa in un periodo altrimenti perfetto e incontestabile, e cioè che voi due state benissimo insieme e che non c'è una ragione al mondo per cui anche lei non debba essere innamorata di te, chi ha qualcosa in contrario parli ora o taccia per sempre.
Ma.
Vai incontro alla bella morte, all'epica sconfitta che rimarrà scolpita nella storia: sei Puskás, sei Cruijff, gli altri sono Fritz Walter, ma Fritz Walter chi se lo ricorda più? That agony is your triumph e i cattivi perdono solo nei film. E allora prolungala all'infinito, quest'agonia. Abbassa le difese, bagna le polveri di tutti i tuoi attacchi, tira fuori una a una le parole che hai cercato di notte per dare un suono al silenzio dei giorni, dieci e lunghissimi, e utilizzale per innalzare un tempio a quel coraggio che in troppi per avere torto chiamano accanimento terapeutico. Opponi vanamente le ragioni del sì al sentimento del no, sorridi, ma non lasciare che rida lei, che sfoderi l'inconsapevole arma letale in grado di radere al suolo il tuo sintetico aplomb, di precipitare nell'oblio ogni promessa di buon senso, di annientare in un istante la lunga pratica dell'autocontrollo, di cui hai la sfacciataggine di andare perfino fiero. Non lasciare che rida e che quel sorriso smascheri ciò che hai maldestramente nascosto a te stesso fin da quando ci hai messo piede, in questa piazza di provincia deserta già alle 7 di sera: che tutto quello che vuoi fare ora coincide drammaticamente con tutto quello che non puoi fare, prenderla e baciarla, lì, in faccia al capolavoro gotico, senza domande e senza risposte, finché la fame, il freddo, il sonno e tutto il resto non vengano a chiedere di voi.
Goditi il silenzio.

Quella stessa notte, dopo mesi, ti ho sognato di un sogno spaventoso che non potrò mai raccontarti prima di averlo dimenticato. Il sollievo del risveglio, dovresti convincertene, dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che sì, forse tu hai ragione e io ho torto, ma sono davvero innamorato di te.

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Goodbye stranger

C'è chi colleziona francobolli, monete, lattine di birra o di Coca Cola, cd, vinili, dvd, brutte figure, figurine, rimpianti, quadri, fumetti, giochi da tavolo, donne, uomini, appunti di una vita, cataloghi dell'Ikea, lettere d'amore, malattie immaginarie, sensi di colpa, medaglie al valore, trenini elettrici, cicatrici, autografi di celebrità, ultimatum, vini pregiati, delusioni, condanne, stati di morte apparente, anelli, coralli, fardelli, crini di cavalli, rancori, ossessioni, biglietti di concerti, dubbi, sospetti, attimi di gloria, richieste di aiuto, giorni di ferie, scarpe, cravatte, luoghi, loghi e suonerie, bandiere, magliette, sintomi, errori, scatti di carriera, cattivi esempi, urgenze, credenze, assenze, inutili resistenze.
Io colleziono finali. E sento che sto per trovare il mio Gronchi rosa.

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That’s the press, baby

Attendo con ostentata quanto apparente lucidità la semestrale visita dell'amministratore delegato – a luglio, prima delle vacanze estive, a dicembre, prima delle vacanze di Natale, per rispettare la finzione universalmente accettata come verità secondo cui due giorni liberi consecutivi e senza possibilità di essere richiamati al lavoro "per improrogabili esigenze di servizio" sono una vacanza – forte delle percentuali snocciolate a caso da un componenente del cdr che mi parla con la stessa trasparenza con cui Raffaele Cutolo affrontava le domande di giudici e giornalisti e che peraltro è l'unico componente del cdr di cui mi fidi almeno in parte, visto che, degli altri due, uno ha la capacità di elaborazione di una piattaforma di rivendicazioni politiche analoga a quella di un sedicenne in kefiah e megafono, l'altro fa i titoli blu. Nel senso che secondo lui, che poi è una lei, la nuova grafica prevede che il quotidiano possa andare in stampa con avveniristici titoli di colore blu.
"Al 99,9% il contratto verrà prorogato a tutti i precari fino al termine massimo previsto dagli accordi nazionali di categoria, poi si vedrà", mi dice Cutolo, prima di improvvisare una serie di sgangherate profezie sul mio futuro professionale all'interno del giornale, che hanno la caratteristica di essere tutte credibili ai suoi occhi e tutte incompatibili tra di loro agli occhi di qualsiasi persona dotata di raziocinio. Nell'ordine, e in seguito a complicati valzer di poltrone, potrei finire a Salerno, a Caserta – e per fortuna nessuno ha ancora nominato Avellino e l'accessoria morte civile -, alla cronaca e, novità dell'ultima ora, perfino allo sport, "perché il capo ti stima e sarebbe ben contento di averti con sé".
"Sono pronto ad andare ovunque", gli rispondo, con la rabbiosa rassegnazione tipica di una generazione che pur di avere un lavoro è disposta a farlo anche gratis, ma consapevole che non si tratta del mio caso, dato che ho appena impegnato la tredicesima per comprare l'iPhone.
"Questo faresti bene a non dirlo", aggiunge sibillino Licio Gelli, fu Cutolo, che non si riferisce al mio acquisto à la page e che già immagino tessere oscure trame per promuovere il mio trasferimento in Irpinia, lì dove le innumerevoli possibilità offerte dall'iPhone, nessuna delle quali, a una sommaria analisi, sembra avere un'utilità pratica, potrebbero davvero acquisire un senso: farmi perdere il tempo necessario a impedirmi di progettare il suicidio causa noia e overdose di Aglianico.

Attendo la semestrale visita dell'amministratore delegato, stamattina, per sapere, stasera, se continuerò a essere un buon partito per altri sei mesi. Poi ti comprerò un regalo.

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Borsa valori

Un bloc notes A4 con fogli a quadretti tutti bianchi, perché quelli già scritti li ho strappati. Una confezione di Golia frutta C che servono a togliere l'appetito. Un ombrello tascabile blu, che sta lì ininterrottamente da cinque anni, ogni 15 agosto compreso. Un'agenda telefonica con il numero di Arrigo Sacchi e quelli di un paio di finiani. Una moleskine con un elenco di libri da comprare, la mia ex partita Iva, gli orari dei treni pomeridiani da Roma a Napoli – la ferrea volontà non sorretta dalla comprensione della realtà – e il numero di telefono dell'ex casa di GiacominoLosi (ma ora ho anche il suo cellulare). Una ricevuta del Palace Hotel di Bologna ("Arrivederci e grazie"). Un fazzoletto pulito, ma inutilizzabile ("Hai un fazzoletto?" "No"). La penna dell'Italia ("Vivo azzurro"). Una confezione di Mental, edizione speciale per i 150 anni dell'unità d'Italia, con la foto di Garibaldi ("Mental, il gusto che unisce l'Italia"). Un pacchetto di Marlboro Gold ("Il fumo uccide"). Una confezione di Benagol (e incomincia proprio con la tosse). Un portafogli che non si può mettere in tasca e che dunque è la causa di tutto. Una fotocamera e l'iPod, per sfidare la sorte, di notte, lassù ai quartieri spagnoli. Una lampada-accendino comprata al ristorante, da un sordomuto. Una matita Ikea. Due penne Usb, di cui una rotta e l'altra forse no. Un'altra matita Ikea. Un'aspirina. Trentasette biglietti da visita. Un anello-apribottiglie della birra australiana XXXX, vinto in un pub casertano partecipando a una gara in cui vincevano tutti. La carta d'identità in scadenza, con foto sovraesposta. Un accendino. Un biglietto di auguri per Natale 2006, con su scritto: "Buono per un (1) bacio, da riscuotere a discrezione del ricevente e col consenso dell'elargente".
Mai riscosso.
Non era male quando ti dimenticavi di farmi il regalo di Natale.

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Io ti salverò

La parola chiave dell'estate 2010 è controllo. Quello che prima ho perso per una ragazza inesistente (in senso ontico) di cui volevo scoprire l'ineffabile mistero quando il mistero proprio non c'era. Poi quello che non sono riuscito a mantenere fino in fondo con una ragazza di cui per almeno quattro mesi ho finto con discreto successo di non essere più innamorato. Nel frattempo, quello che ho inopinatamente mantenuto, perfino in uno stato di semi-incoscienza causato da un mix letale di sostanze psicotrope (come lei stessa non ha mancato di puntualizzare), con una ragazza che l'italiano medio, in particolare quello residente a sud del Volturno, definirebbe, con una formula piuttosto eloquente, un femminone esagerato.
Il problema è che io sono un romantico, anzi, l'ultimo dei romantici, quello che una persona – sì, vabbe', una ragazza, ma tanto le mie questioni di lavoro a chi interessano? – a cui devo eterna gratitudine ha giudicato "inspiegabilmente puro per essere cresciuto in una città come Napoli" (e no, non voleva dire fesso). Come una specie di Indiana Jones del sentimento amoroso, scavo nel cuore delle donne per portare alla luce quella pietra preziosa che loro stesse non sanno di avere nascosta negli oscuri meandri del sistema cardiocircolatorio. Solo che il più delle volte quella pietra davvero non c'è. Oppure la scopre prima qualcun altro, esplorando la superficie del fiume con un banale setaccio, come i cercatori d'oro del Klondike.
Indiana Jones vs Zio Paperone: chi vincerà?

Ed è per questo che questa settimana invece di cantare una canzone che dice amore mio, ritorna, non tornare, ti amo, non ti amo più, vi canto una canzone che molto più semplicemente si chiama Tara tara ta ta tarara ta ta.


Sì, hai ragione, mi piacciono i nasi "un po' così".

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Apnea

Mentre percorro la stessa strada che fece Siani quella notte – e che non mi porta a casa, ma per fortuna il viaggio si concluderà con un esito diverso – fumando avidamente la terza Lucky Strike in mezz'ora – grazie, Claudia, se proprio devo dirti grazie – e ascoltando una canzone che dice "l'inverno deve essere freddo", nonostante i 30 gradi al buio di una torrida notte d'agosto – sono sempre io, anche se lo scenario è surreale – mi rendo improvvisamente conto – non è vero, lo so da sempre, ma periodicamente m'impongo di dimenticarlo – che non sarò mai non dico felice, ma almeno tranquillo, finché non la smetterò di cercare risposte a domande che tutti, e intendo dire proprio tutti – a parte lui, ma è solo il personaggio di un romanzo – preferiscono lasciare inevase per sempre. Sepolte sotto chili – nel mio caso etti – di ricordi più o meno felici, di foto in cui sono tutti belli, di sentimenti ammazzati prima che diventino avvoltoi e si mangino il fegato.

Alla domanda che ho fatto a me stesso ho dato subito una risposta.
A quella che è rimasta nell'aria per un'ora, implicita in questo inatteso rendez-vous, la risposta l'hai data tu. E, uhm, insomma, come dire, gasp, che è quello a cui ho cercato di dare una forma nel delirante semi-monologo dell'ora successiva. Avrai davvero capito?
E l'unica consolazione, mi ostino a pensare adesso, dopo avertelo perfino detto, è l'assenza della novità: meglio lui che un altro.
Estate 2010, finisci ora, ti prego. E dammi tregua.

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Il nostro concerto

Se ti vestirai come Oliva Newton-John nel finale di Grease, ti guarderanno tutti, ma ti riconoscerò soltanto io. Camminerai barcollando verso di me, ma, senza occhiali, non riuscirai a schiacciare voluttuosamente la sigaretta sotto il tacco come Sandy. Al massimo centrerai una lumaca. Allora ti prenderò per mano e ti porterò lontano dal palco, dove non ci potrà vedere nessuno. Lì ti rimetterò gli occhiali e, nella migliore delle ipotesi, ti sfiorerò il viso.
Perché, che ti credevi?

E il tuo volto ha il colore
di un'estate fantasma
che hai lasciato senza fretta cadere
come un vestito
In un giorno qualunque

(questa me l'ero dimenticata colpevolmente)

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