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Fanny Targioni Tozzetti

Sono l'uomo che deve chiedere sempre. È con questa fiera attitudine nei confronti della vita che sfido i modelli imposti quotidianamente dalla società dei consumi, nel caso specifico dall'inquietante spot del dopobarba Denim, quello che negli ultimi 30 anni ha plasmato l'immaginario di milioni di maschi occidentali, tranne il mio.
A parte la storia delle unghie smaltate di rosso (scuro, grazie).
Altro che rivolta dei post-it, altro che popolo viola: la mia sì che è vera ribellione al potere costituito. Perché sono l'uomo che deve chiedere sempre e ho un potere tutto speciale: trasformo le donne in oro. Nel senso che qualsiasi donna venga a contatto con me riscopre improvvisamente il significato profondo della propria femminilità, l'orgoglio di appartenere a una categoria che ha dovuto combattere duramente per farsi largo nel grande agone della Storia, la consapevolezza della propria insostituibile peculiarità, a cui il genere umano non riesce a rinunciare. E dev'essere proprio quest'ultima riscoperta, quella dell'insostituibile peculiarità, a suscitare in qualsiasi donna che venga a contatto con me – ripeto: in qualsiasi donna – l'insopprimibile desiderio di tirarsela indiscriminatamente.
Non c'è differenza di età, razza, religione, livello culturale e gradevolezza estetica che tenga: con me se la tirano tutte tantissimo, anche se non sanno fare la O col bicchiere e se un'ora prima di conoscermi hanno trovato irresistibile – e infatti non hanno pensato neanche lontanamente di resistergli – un suonatore di bonghi con gravi difficoltà di apprendimento e disarmanti lacune nelle più elementari tecniche di comunicazione orale. Per non parlare di quella scritta.
Se fossi Renzo, Lucia non vedrebbe l'ora di scappare non dico con l'Innominato, ma perfino col Griso. Se fossi Paolo, Francesca avrebbe da ridire sulla scelta del libro. Se fossi Topolino, a Minnie piacerebbe l'uomo alto e slanciato, sul genere di Pippo.
Ma la mia è tutt'altro che una lamentela. Se sono diventato il catalizzatore di desideri di rivalsa repressi per anni, il capro espiatorio di mille torti subiti, l'occasione di riscatto per una vita vissuta nell'errore e nel peccato, il suscitatore di ancestrali turbamenti nascosti negli angoli più bui del cromosoma X, è solo perché nessun uomo è più uomo di me. Rassegnatevi, voialtri. Pensate a spassarvela, ché tanto sui libri di storia ci finisco io.

Sebadoh – Soulmate

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Quarto potere vs Terza età

Ieri ho parlato con un lettore. Ha composto il numero del centralino, che in realtà è la portineria, gli hanno passato il caposervizio, che gli ha passato me, che non avevo nessuno a cui passarlo. Mi ha descritto minuziosamente prima la sua posizione pensionistica, poi quella assicurativa, soffermandosi più volte, circa 13, sul suo stile di guida irreprensibile, che gli consente da alcuni anni, circa 35, di rimanere saldamente agganciato alla classe 1, quella più economica, della sua polizza Ras. Ciononostante, la compagnia assicurativa, che non si chiama più come lui pensa che si chiami, ma vaglielo a spiegare, gli ha imposto un aumento di molti euro, circa 75, sul premio 2010.
Questo il suo problema.
Io il suo customer service.
Gli ho dato corda. Ho scelto parole rassicuranti, ma che allo stesso tempo non costituissero alcun tipo di impegno da parte mia. Ci ho messo la stessa cura di un uomo che vuole tenere legata a sé una donna a cui non vuole dire ti amo. Oppure quella del rappresentante della Ras che gli ha fatto sottoscrivere la polizza.
Io me li immagino questi affezionati lettori, quelli che quando saranno tutti morti mi costringeranno a prendere atto del fallimento del mio progetto di vita. Me li immagino la mattina alle 7.30, perfettamente sbarbati e profumati di Aqua Velva, con la sciarpa, il cappello e il cappotto abbottonato fino al collo, mentre lasciano cadere lentamente nelle mani del giornalaio, in pezzi da 10 e da 20 centesimi, l’euro che serve a comprare il quotidiano. Poi vanno al bar, ordinano un caffè – il giovedì macchiato – e stendono il giornale sul bancone, per trovare conferma, il giorno dopo, di quello che i tg hanno detto il giorno prima.
Me li immagino proprio mentre provo a tranquillizzare uno di loro, che mi parla con lo stesso tono che userebbe se dovesse esporre il suo caso al presidente della Repubblica.
Ho paura per lui, terrore per me.

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La zona del crepuscolo

Il mare dei lombardo-veneti è un miracolo d’acqua salata atteso per undici mesi e quindici giorni. Una prospettiva del tutto inesistente a novembre, quando il sole è pallido come il ricordo della sedia a sdraio vinta con i punti Esso, e che diventa improvvisamente reale soltanto a giugno, quando l’atto di imboccare l’Autosole, direzione Sud, è il compimento di una tradizione decennale che si tramanda di padre in figlio, il meritato riposo del guerriero, la necessaria conclusione di un percorso virtuoso iniziato a settembre.
Il senso stesso della vita, insomma, e così sia nei secoli dei secoli. Prima è soltanto Idroscalo, o, per i più fortunati, quel ramo del lago di Como.
Io i lombardo-veneti al mare li riconosco a prima vista: esibiscono con invidiabile sfacciataggine la loro inadeguatezza a un ambiente di cui ignorano l’esistenza, perfettamente ricambiati, per 350 giorni all’anno.
Si presentano in spiaggia alle 9, un’ora dopo essersi svegliati, quando tutti gli altri fanno finta che sia ancora buio. La loro ossessione è il sole. Ed è per questo che non usano l’ombrellone per appendere magliette e parei, come fanno tutte le persone che hanno un rapporto sano con la stella che dà il nome al nostro sistema. I lombardo-veneti usano l’ombrellone per ripararsi dal sole, un’attività francamente inconcepibile per chi sceglie di passare le vacanze a sud del Garigliano, e per di più spesso accompagnata da una vera e propria sfida, probabilmente inconsapevole, alle più elementari leggi della natura: la lettura, o il tentativo della stessa, del Corriere della sera, che alla prima folata di vento, di solito in programma alle 9.12, aderisce al corpo come una seconda pelle. Non riprenderà mai più la forma originaria e le notizie di calciomercato, le uniche che stiano a cuore a un buon padre di famiglia il 15 agosto, saranno comunicate via sms dal figlio adolescente in vacanza studio a Londra.
L’esistenza dei lombardo-veneti è l’unica ipotesi che consenta di spiegare la presenza in farmacia e sugli scaffali dei migliori supermercati delle creme solari protezione 50, le creme nichiliste, quelle che sembrano chiedere a chi le utilizza: perché non hai scelto di passare l’estate a Oslo?
La risposta soffia nel vento, insieme alla pagina 37 del Corriere della sera.
Naturalmente non si deve generalizzare: esistono anche gli impavidi, meglio noti come "quelli della protezione 40", che si espongono ai raggi ultravioletti anche dopo mezzogiorno e, a volte, novelli Mino Damato, percorrono i trenta metri che separano l’ombrellone dalla doccia senza indossare le ciabatte. Purtroppo, però, non sempre l’audacia viene premiata. Sicuramente non in questo caso. Gli effetti disastrosi del sole sui lombardo-veneti sono infatti evidenti a tutti a partire dal decimo giorno di vacanza, quando la pelle assume quel caratteristico colore rosso paonazzo che, per ragioni oscure a chi non abbia una specializzazione in antropologia, non diventerà mai nero, ma tutt’al più, insistendo con ostinata pervicacia, potrà assumere i contorni poco rassicuranti del viola peste bubbonica.
Ma l’ultimo affronto, l’atto finale di questa destrutturazione dell’estate al mare, si compie proprio in acqua, nell’elemento che è la causa scatenante di tutto, desiderato e allo stesso tempo temuto come un dio che tutto dà e che tutto prende. Sì, perché raramente il lombardo-veneto osa superare la boa arancione che segnala l’esonero dalle responsabilità del solitamente loschissimo gestore dello stabilimento balneare. E quando lo fa, quando cioè sceglie consapevolmente di non toccare, di non avere più la terra sotto i piedi, supera le colonne d’Ercole e nuota. Nuota a stile libero. Ma senza mai immergere la testa nell’acqua.
Io amo i lombardo-veneti. Ma sul Monte Bianco ci andrei solo accompagnato da una guida.

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Gli indifferenti

Fnac mi accoglie con la svogliata insolenza dell’unico posto decente raggiungibile in dieci minuti alle 5 del pomeriggio di una domenica di luglio. Nell’aria l’immancabile canzone di Michael Jackson, forse la sola che tenda occasionalmente a piacermi, per lo meno quando perdo i freni inibitori o assumo ginseng: l’ennesima variazione sul tema per-cambiare-il-mondo-bisogna-prima-cambiare-se-stessi, che, oltre a essere più adatto al catechismo della prima comunione che a una canzone pop, era già stato declinato, qualche anno prima e nella sua forma più compiuta, dagli U2, quando gli U2 avevano ancora ben chiaro che il loro ruolo nel panorama musicale mondiale sarebbe dovuto restare circoscritto a una versione cazzeggiona dei Joy Division. Una versione di cui, ne sono tuttora convinto, il panorama musicale mondiale aveva comunque un disperato bisogno. E forse pure io.
Elaboro inutili teorie sugli anni ’80, il decennio che – è ora di accettare questa verità tanto agghiacciante quanto definitiva – può vantarsi di annoverare gli anni più felici della mia vita, mentre passeggio per il rinnovato piano terra del grande magazzino. Questa volta non si sono limitati a invertire il reparto informatica con quello telefonia, operazione che di solito mettono in atto secondo una logica nota soltanto a pubblicitari ed esperti di marketing, cioè le due categorie professionali la cui esistenza mi fa ancora dubitare dell’opportunità di abbracciare senza alcun senso di colpa il sistema capitalistico. Questa volta hanno creato una specie di fitto reticolato di scaffali in plexiglas, cardi e decumani color bianco fantascienza, su cui gli oggetti sono palesemente disposti in ordine sparso: un telefono e uno scanner, un videogioco e una macchina fotografica, un lettore dvd e una biglia. E sono pronto a scommettere che questa pazzesca struttura contribuirà ad aumentare il fatturato estivo di almeno il 2%.
Al piano meno uno, invece, tutto è apparentemente rimasto fermo a dieci giorni prima, compreso il reparto "nuovi suoni", quello in cui convergono tutti i dischi che hanno avuto l’onore di almeno un passaggio durante un qualsiasi happy hour milanese. Ogni tanto nel reparto nuovi suoni si aggirano uomini in tatuaggio e ciabatte verdi e donne molto tristi con le gonne lunghe. In cuor mio spero che prima o poi il reparto nuovi suoni bruci all’inferno.
Mi infilo tra uno schermo che trasmette una scena di Totò in Miseria e nobilità e un altro da cui Travaglio, l’uomo che ha superato il record di libri scritti in un solo anno, precedentemente stabilito da Luciano De Crescenzo nel 1993, recita la sua interminabile litania di Al Capone e John Dillinger in sedicesimo, al termine della quale mi viene voglia di parcheggiare in terza fila o di costruirmi un terrazzo abusivo.
Gli spettatori, sia quelli di Totò che quelli di Travaglio, ridono.
Ma non c’è niente di strano.
Perché in questi enormi luna park della cultura tutti trovano quello che cercano e riescono anche a sentirsi delle persone migliori: più intelligenti, più etiche, più comiche e perfino più affascinanti. La mediocrità è rassicurante quando è condivisa. E la targhetta "il colpo di fulmine dell’esperto" è la luce che rischiara le tenebre dell’ignoranza.
Rigiro tra le mani la versione rimasterizzata di uno degli infiniti dischi dei Fall, fingendo di non sapere che sto per comprarlo e per morire conseguentemente di noia a partire dalla quarta canzone, mentre tutto ciò che davvero m’interessa è a tre metri da me, ha la gonna corta e le gambe lunghe, un’età approssimativa tra i 24 e i 25 anni e tra due ore e mezza sarà a casa del fidanzato a sperimentare ardite tecniche di reciproco soddisfacimento per le quali io, francamente, pretenderei come minimo la presentazione di uno studio di fattibilità.
E tutto questo proprio come se non fosse successo niente.
Come se io non stessi comprando i Fall anche per lei.


The Fall – Disney’s dream debased

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Innamoramento e amore

La prima reazione, quella immatura e dettata dalla rabbia cieca, è di prendersela con la sorte avversa, e anche un po’ zoccola, e chiedersi se davvero devono succedere tutte a me. Ma è solo un attimo: poi i nervi si stendono, il cuore ricomincia a battere al suo ritmo naturale, le mani trovano pace. La razionalità riprende il sopravvento e i pensieri si dipanano finalmente nella giusta sequenza.
E la risposta, lucida e inconfutabile, è sì, succedono sempre tutte a me e quel sobrio ferro di cavallo appeso al termosifone della camera da letto non serve a niente. A niente!
La diffusa bruttezza che mi circonda, e che circonda anche voi, eloquentemente rappresentata dalla vecchia del piano di sotto, che scatarra nel momento stesso in cui apro una finestra che non offre alcun panorama, mi induce a ritenere opportuno ogni sforzo teso a preservare quei rari scampoli di bellezza che, il più delle volte senza alcuna motivazione plausibile e spesso con esclusive finalità terroristiche, si decidono ad attraversare la mia strada. Ho una vera e propria venerazione per la bellezza, tanto che la mia massima aspirazione professionale è quella di condurre Uno Mattina estate insieme a Miriam Leone. Ma la passione non è reciproca e lei continua a sfuggirmi. La bellezza, non Miriam Leone, per quanto sia convinto che da un eventuale tentativo esperito nei confronti di quest’ultima non sortirebbero risultati migliori.
I motivi della sua ritrosia sono sempre diversi, ma tutti fatalmente connessi alla mia incapacità di maneggiare con cura ciò che costituisce l’unica, innegabile, speranza di salvezza per il mondo.
O almeno questo è quello che lei vuole farmi credere.
È troppo tardi, è troppo presto, è troppo lento, è troppo veloce, è troppo vicino, è troppo distante. È sempre troppo qualcosa, insomma, e la bellezza si accontenta spesso di poco: due camere e cucina, il weekend al mare e in mezzo una confortante assenza di imprevisti.
"L’innamoramento introduce in questa opacità una luce accecante. L’innamoramento libera il nostro desiderio e ci mette al centro di ogni cosa. Nell’innamoramento, la scelta è fra il tutto e il nulla". Parole che potrei assumere a eterno monito e insegnamento di vita e che mi porterebbero a disquisire con fervore sulla necessità di scegliere il tutto, pena la dannazione eterna e l’inferno in terra. Se non sapessi che sono parole scritte da Alberoni, che per di più è sposato con una specie di Marta Marzotto passata in centrifuga, prova provata che certe cose Francesco le capisce solo sulla carta.
"Prendi una donna, trattala male, lascia che ti aspetti per ore. Non farti vivo e, quando la chiami, fallo come fosse un favore".
Parole e musica del concretissimo Marco Ferradini.
Alberoni, guardati allo specchio. E ritirati.

Orange Juice – Consolation prize

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Sputerò sulle vostre tombe

Io prevedo il futuro.
E so che un giorno neanche troppo lontano rimpiangerete perfino la Iervolino.

Lo stato maggiore del Pdl in Campania. No, davvero.

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